Sin qui abbiamo sinteticamente visto in che modo la Felicità esista per l’Uomo.
Penso di procedere a questo punto estrapolando i cardini del pensiero di Seneca sul concetto di Felicità, per sottoporli a veridica al fine di consolidarne il valore e vagliarne la resistenza, mediante la contrapposizione alle opinioni contrastanti di altri pensatori.
A sostegno della visione di Seneca, bisogna sottolineare che sua la concezione morale è mutuata dal pensiero della Stoa. I massimi filosofi stoici, infatti, concordano sulla coincidenza della Natura con il Lógos che governa l’universo, vivere secondo natura equivale a vivere secondo ragione. Adeguarsi a questa armonia universale è il compito dell’uomo virtuoso. Il premio che a lui è destinato è la felicità.
« [...] Essi dicono inoltre che la natura non fa alcuna differenza tra le piante e gli animali, perché essa regola anche la vita delle piante senza impulso e senza sensazione, e d’altra parte in noi si generano fenomeni nella medesima guisa che nelle piante. Ma poiché agli animali è stato ingenerato per sovrappiú l’impulso per mezzo del quale essi si dirigono ai loro propri fini, ne deriva che la loro disposizione naturale si attua nel seguire l’impulso. E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta piú perfetta, il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo natura, in quanto la ragione si aggiunge per loro come plasmatrice ed educatrice dell’istinto».
« Perciò Zenone per primo nella sua opera Della natura dell’uomo definí fine il vivere in accordo con la natura, cioè vivere secondo virtú, perché la natura ci guida alla virtú. Cosí anche Cleante nel libro Sul piacere e Posidonio ed Ecatone nell’opera Dei fini. [...]»
« Il viver secondo virtú equivale al vivere secondo l’esperienza degli avvenimenti naturali, come dice Crisippo nel libro I dei Fini; poiché le nostre nature son parte della natura universale. Per ciò diventa fine il viver conforme a natura; che è secondo la propria natura e secondo quella del tutto, nulla operando di quanto suol vietare la legge comune, che è la retta ragione che si estende per tutte le cose, identica a Zeus, che governa l’ordine di tutte le cose. E questo medesimo è la virtú e il felice corso della vita dell’uomo felice, quando tutto si compie secondo concordanza del genio di ognuno con il volere del governatore dell’universo».
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 86-88)
Dal pensiero di Seneca estrapoliamo dunque il concetto principale del VIVERE SECONDO NATURA, VIVERE SECONDO RAGIONE E VIVERE SECONDO VIRTÚ, che costituiscono per la filosofia stoica un unico ideale.
A questo punto, prendiamo in considerazione l’attacco frontale che l’ideale stoico subisce, molti secoli dopo, da parte di uno tra i maggiori filosofi occidentali di ogni tempo, Friedrich Wilhelm Nietzsche (Röcken, 15 ottobre 1844 – Weimar, 25 agosto 1900) che è il caso di leggere:
« Volete vivere secondo natura? O nobili stoici, che inganno verbale! Immaginatevi un essere come la natura, dissipatrice senza misura, indifferente senza misura, senza intenzioni e senza riguardi, senza pietà e giustizia, fertile e deserta e incerta al contempo, immaginatevi l’indifferenza stessa fatta potere: come potreste vivere secondo tale indifferenza?
Vivere non è appunto un voler-esser-altro da quel che è questa natura? Vivere non è forse preferire, valutare, essere ingiusti, essere limitati, voler essere diversi?
E posto che il vostro imperativo “vivere secondo natura” in fondo significhi “vivere secondo la vita”, come potreste non farlo? A che scopo trasformare in principio ciò che voi stessi siete e dovete essere?
In verità le cose stanno molto diversamente: mentre voi fate credere rapiti di leggere il canone della vostra legge nella natura, volete qualcosa di opposto, voi curiosi commedianti e ingannatori di voi stessi!
Il vostro orgoglio vuole prescrivere e incarnare nella natura, persino nella natura, la vostra morale, il vostro ideale, pretendete che essa sia natura “conforme alla Stoa” e vorreste far esistere ogni esistenza secondo la vostra propria immagine, come mostruosa, eterna glorificazione e generalizzazione dello stoicismo!
Con tutto il vostro amore per la libertà vi costringete così a lungo, così ostinatamente, così rigidamente come sotto ipnosi a vedere scorrettamente e cioè stoicamente la natura, tanto che non riuscite neppure più a vederla diversamente; e una qualche abissale presunzione alla fine vi dà pure la folle speranza che, siccome voi siete capaci di tiranneggiarvi (stoicismo è tirannide sopra se stessi), anche la natura si lasci tiranneggiare: non è infatti lo stoico un pezzo di natura?…
Ma questa è una vecchia storia: ciò che è accaduto allora agli stoici, accade di nuovo oggi non appena una filosofia inizia a credere in se stessa.
Essa crea sempre il mondo a sua immagine, non può fare diversamente; filosofia è questo stesso istinto tirannico, la volontà spirituale di potere, di creazione del mondo, di “causa prima”».
(Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male, IX)
Nietzsche, dunque, respinge con veemenza l'idea di un mondo che si svolge secondo un ordine oggettivo e conoscibile, ma non modificabile, rende insensata l'azione storica. L'uomo, sommerso dalla propria coscienza storiografica, è incapace di creare nuova storia: lo stoicismo è solo un altro aspetto del razionalismo, ispirato dalla fede riposta nella scienza dal positivismo. A tali segni di decadenza dell'uomo Nietzsche contrappone il ritorno alla cultura dionisiaca.
Prima di proseguire, dunque, sarà il caso di soffermarsi sul pensiero di Nietzsche, "SULL'UTILITÀ E IL DANNO DELLA STORIA PER LA VITA " e sul il TRIONFO DI DIONISO, che domina lo spirito greco delle origini.
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